Paola Saluzzi: imparo ogni giorno dalle storie che racconto

da | Gen 16, 2025 | Lifestyle | 0 commenti

Paola Saluzzi: imparo ogni giorno dalle storie che racconto

La conduttrice de L’Ora Solare tra ricordi, esperienze e obiettivi per il futuro.

a cura di Emilio e Stefano Sturla Furnò

Occhi verdi onesti e sinceri, inconfondibile chioma fulva dai mille riccioli, voce calda e gentile.

Paola Saluzzi, giornalista e conduttrice televisiva, ci dà l’appuntamento per l’intervista a tu per tu nello studio rinnovato di Tv2000 a Roma dove conduce “L’Ora Solare”, il talk show in onda dal lunedì al venerdì a partire dalle 12.20 che tratta temi legati ai sentimenti e alla solidarietà.

Nel suo salotto Paola Saluzzi accoglie quotidianamente ospiti della cultura, dell’arte e dello spettacolo, ma anche “gente comune” per affrontare tematiche di attualità e costume.

Una carriera lunga e ricca di esperienze, durante la quale ha saputo raccontare con passione e autenticità storie di vita e di persone.

Paola apre il suo cuore e ripercorre il suo lungo e ricco percorso professionale, fatto di scelte, sfide ed incontri, offrendo uno spunto di riflessione sulla sua visione del giornalismo e della vita.

Guardando indietro alla tua carriera, c’è un programma o un’esperienza che senti abbia cambiato il tuo percorso professionale?

“Ci sono stati programmi che non solo hanno segnato il mio percorso professionale, ma lo hanno profondamente trasformato. Tra questi, Uno Mattina su Rai1 rappresenta per me uno spartiacque, un’esperienza che mi ha insegnato l’arte di vivere la diretta.

Lavorare in questo programma era, per me, molto più che informare: era entrare nelle case di un’Italia che si svegliava, ognuno con il suo ritmo, le sue storie.

C’era il mattino in pigiama, il mattino trafelato in cucina, il mattino degli imprenditori che sognavano e quello dei giornalisti che raccontavano.

Tra i momenti indimenticabili, ricordo una telefonata in diretta di Indro Montanelli, spettatore affezionato che ci seguiva ogni giorno. Era un mattino condiviso con un pubblico sconosciuto ma straordinariamente vicino, che mi ha insegnato a fare televisione con autenticità e rispetto.

E poi, lavorare al fianco di Luca Giurato: un’esperienza che va oltre il professionale. Luca non era solo un collega, era un maestro di vita, capace di regalarti intuizioni geniali e risate genuine. La sua assenza si sente ogni giorno, ma ciò che mi ha trasmesso continua a guidarmi”.

In cosa pensi che il giornalismo televisivo oggi differisca da quando hai iniziato?

“Dal momento in cui ho iniziato la mia carriera, passando per gli undici anni a Sky TG24, il giornalismo televisivo è cambiato in modo radicale.

Oggi, le notizie viaggiano a una velocità senza precedenti: tutto ciò che viene catturato da un telefonino – il cosiddetto citizen journalist – può diventare notizia in un istante.

Il nostro mestiere deve adattarsi a questa frenesia, restando sempre ancorato ai suoi pilastri fondamentali: la curiosità, il controllo rigoroso delle fonti e la consapevolezza che, una volta iniziato a circolare, il flusso della notizia è inarrestabile.

La tecnologia ha trasformato il giornalismo, rendendolo più rapido e accessibile, ma ciò che non cambia è il dovere di raccontare i fatti con responsabilità, profondità e verità”.

Come riesci a bilanciare il rispetto per le notizie con la pressione dell’audience e dell’intrattenimento?

“Bellissima domanda.

Per mantenere e rendere concreto questo rispetto verso le notizie, nonostante la pressione costante dettata dall’audience, bisogna rifarsi a qualcosa che va oltre la tecnologia: il buon senso.

È un meccanismo intrinseco, umano, che ci guida nelle scelte cruciali.

Posso dare questa notizia? È giusto farlo?

Posso spingere sull’acceleratore o rischierei di compromettere qualcosa di più importante? Il buon senso è la bussola che ci permette di bilanciare velocità e responsabilità, e di non perdere mai di vista l’etica del nostro lavoro”.

Qual è l’intervista che ti ha colpita maggiormente?

“Questa è davvero una domanda da un miliardo di dollari.

Ci rifletto spesso, soprattutto in questi giorni, pensando a un compleanno così importante che festeggerò a maggio: sessant’anni, un traguardo meraviglioso.

Mi soffermo su quante persone ho incontrato lungo il mio percorso, su quante, attraverso le loro voci, mi abbiano donato frammenti preziosi di sé. Sono davvero tante.

Ma se devo scegliere, ricordo con particolare emozione una conversazione con il maestro Armando Trovajoli.

Mi parlò della sua giovinezza e del dopoguerra con una delicatezza e una profondità straordinaria, lasciandomi nel cuore una lezione che ancora oggi mi accompagna.

E poi, con immenso affetto, penso alle interviste fatte alla splendida Emy, figlia di Vittorio De Sica. Aver avuto l’onore di intervistare lei, e poi diventare sua amica, è stato come ricevere un regalo di Natale ogni giorno. Un privilegio che custodisco gelosamente”.

Quali sono i valori o i principi fondamentali che segui nel tuo lavoro di conduttrice?

“I valori fondamentali che guidano il mio lavoro sono la capacità di rimanere, nonostante la telecamera, la persona che sono, e di parlare al mio pubblico come se fosse davanti a me.

Mi piace immaginare di essere con loro in uno scompartimento di un treno, come si diceva una volta, guardandoli negli occhi.

Questo principio vale doppiamente quando intervisto qualcuno, perché lì deve esserci il massimo rispetto, ma è altrettanto importante nei confronti del pubblico, che cerco sempre di immaginare con un volto preciso.

Quando incontro persone che mi fermano e mi salutano, provo a memorizzare i loro volti. Poi, quando sono davanti alla telecamera, penso di parlare proprio a loro, a quella persona specifica.

È un metodo che ho seguito dall’inizio e che non cambierò mai, perché mi permette di restare autentica e vicina a chi mi ascolta”.

Come vedi l’evoluzione della figura della donna in televisione? Ci sono ancora barriere da abbattere?

“La figura della donna in televisione è cambiata profondamente nel corso degli anni.

Oggi possiamo vantare esempi straordinari in ogni ambito, dal giornalismo all’intrattenimento. Raffaella Carrà è un’istituzione: si è guadagnata quella grandezza giorno dopo giorno, con impegno e talento ineguagliabili.

Carolyn Smith, con la sua energia inesauribile e il suo valore, buca lo schermo in modo semplice e naturale. È vero, ci sono ancora barriere da abbattere, ma non voglio ridurre la questione a un confronto tra uomini e donne.

Piuttosto è un discorso di crescita costante, di risultati che devono esser consolidati e superati.

Abbiamo raggiunto traguardi importanti, ma è necessario continuare a evolvere, a spingere oltre i limiti e a lavorare per una rappresentazione sempre più ricca e significativa. C’è ancora tanto da fare, ma la direzione è quella giusta”.

Quali progetti o temi ti piacerebbe trattare in futuro?

“Ho un mobile pieno di cassetti, traboccante di idee e proposte. Uno dei miei sogni sarebbe tornare a lavorare in esterna, viaggiare per il mio paese e oltre, alla ricerca delle storie delle persone.

Mi sono resa conto, quasi senza accorgermene, di essermi specializzata nell’ascoltare e raccontare, e penso che sarebbe meraviglioso andare a scovare quei racconti, non solo accoglierli tra le mura di uno studio televisivo.

Mi immagino a bordo di una jeep, con un paio di stivali robusti, una giacca calda e la voglia di lasciarmi sorprendere da ciò che troverei lungo la strada. Storie autentiche, spesso nascoste, che aspettano solo di essere ascoltate e condivise.

Sarebbe un viaggio nel cuore delle persone e nella loro quotidianità, un’avventura che non vedrei l’ora di vivere”.

Come ti prepari prima di andare in onda? Hai particolari rituali?

“Mi preparo con il lavoro straordinario della mia redazione, la produzione di TV2000, e la mia Ora Solare.

Ogni giorno torno a casa con pagine e pagine di schede sugli ospiti, tutte preparate con estrema cura e amore. Quella è la mia preparazione, che ancora oggi conserva i ritmi e i metodi del liceo: studiare, studiare, studiare.

Poi ci sono i rituali, immancabili prima di entrare in studio. Mi piace portare qualcuno dietro le quinte o far finta di salutare un amico, perché sono convinta che porti fortuna.

Ho preso lo spunto da un ricordo che mi ha colpito quando, giovanissima, ho partecipato ad uno speciale TV dedicato a Yves Montaind.

E, naturalmente, non mancano le piccole scaramanzie: porto sempre con me una bustina con rossetto, cipria e lucida labbra. È una di quelle abitudini che ormai fanno parte di me”.

Qual è il consiglio più importante che daresti a un giovane giornalista televisiva?

“La prima cosa che direi a un giovane giornalista televisiva è: non mollare mai. La perseveranza è fondamentale in questo mestiere.

Poi gli consiglierei di studiare il passato, di andare alle radici del giornalismo televisivo.

Guardare le cartoline di Andrea Barbato, imparare dal modo in cui Sergio Zavoli raccontava l’Italia attraverso la televisione, studiare le dirette di guerra di Franco Di Mare.

È importante costruirsi una base solida, una lista lunghissima di riferimenti che rappresentano le fondamenta.

Solo conoscendo ciò che siamo stati, possiamo comprendere davvero cosa siamo e come possiamo evolverci. Il giornalismo televisivo è fatto di studio continuo, di osservazione e di rispetto per chi ha tracciato la strada prima di noi”.

Come hai visto evolvere il rapporto tra giornalismo televisivo e social media?

“Il giornalismo e i social media sono diventati ormai cugini strettissimi. Si sono intrecciati in modo talmente profondo che l’uno è diventato lo specchio dell’altro.

Non so se siano indispensabili, ma sicuramente sono legati in da un nodo indissolubile. Oggi, il confine tra i due è sempre più sfumato, e questo legame definisce il panorama dell’informazione contemporanea”.

Qual è stato il momento più difficile della tua carriera e come l’hai superato?

“Momenti difficili nella mia carriera ce ne sono stati tanti, alcuni davvero complessi. Ci sono state salite ripide e anche errori personali.

Ma ciò che ho imparato è che bisogna saper sempre chiedere scusa per un errore commesso e guardare al futuro con ottimismo.

Se interrompi un lavoro in corso, ne arriverà uno nuovo. Solo tu avrai il potere di renderlo migliore, con lealtà e correttezza, come si dovrebbe fare sempre nella vita”.

La tua carriera è stata lunga e sfaccettata. Come ti ha cambiata a livello personale il contatto continuo con le storie degli altri?

“La mia carriera è stata lunga e sfaccettata, e non sono più la donna che ero all’inizio. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con storie che mi hanno segnata profondamente.

Oggi sono al settimo anno del mio programma, L’Ora Solare, che ho scritto, ideato, e persino scelto di intitolare così. Il mio obiettivo non è mai stato raccontare che tutto va bene, ma dare risalto alla forza interiore e al fuoco di ottimismo motore propulsivo della vita.

Le storie che ho raccontato mi hanno cambiato. Una di queste è quella di Piera Manca e Antonella, la mamma e la sorella di un Alpino morto.

Porto sempre con me il coraggio di Piera, una donna che ha saputo e continua a sapere cosa significhi l’onore, la forza del dolore, e la lealtà verso i colleghi di suo figlio, che oggi sente come suoi figli.

Ci sono incontri che ti segnano per sempre. Ne ho avuti tanti, e spero di averne ancora. Ho imparato tantissimo dalla vita”.

Hai un modello o una figura a cui ti ispiri nel mondo del giornalismo?

“Sergio Zavoli è stato il capo della redazione di Viaggio intorno all’uomo. All’epoca ero solo un garzone di redazione, mi trovai a lavorare accanto a un monumento, un uomo che mi trattò con una grazia immensa.

Mi insegnava, non con parole formali, ma raccontando, spiegandomi cosa voleva dalla storia, come si doveva costruire un racconto.

La sua lezione più grande era il rispetto assoluto per l’ospite, quella persona che in quel momento stava aprendo una parte di sé sotto le luci televisive.

Zavoli è stato una continua lezione di giornalismo, di umanità e di professionalità. Sono stata legata a lui, al mio maestro, fino all’ultimo giorno, e sarà sempre nel mio cuore”.

Ripercorrendo la tua carriera, che eredità vorresti lasciare al mondo del giornalismo e della comunicazione?

“Vorrei lasciare l’eredità della totale lealtà verso il pubblico, della cura e del rispetto per le persone con cui ho lavorato. Mi auguro di essere ricordata come una persona con i piedi per terra.

Ogni parola di stima che ho ricevuto mi riporta alla prima volta in cui mi dissero brava. È come se il cuore battesse ancora per quell’emozione, e spero che continuerà a battere a lungo”.

 

 

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